Distese di fiori di un meraviglioso violetto intenso che esalta il giallo delle antere su cui è poggiato il polline: sono gli scenari da sogno che colorano gli altipiani dove viene coltivato lo zafferano d’Abruzzo.
Non tutti sanno che si tratta della qualità più pregiata esistente della spezia più costosa al mondo: l’oro rosso della regione che, ancora oggi, viene lavorato esclusivamente a mano e che è molto richiesto dalle grandi cucine nostrane ma soprattutto estere. Dietro ogni chilo di zafferano abruzzese si nascondono circa 500 ore di lavoro di raccolta e 200mila di quei meravigliosi fiori. Una tradizione che perdura nel tempo, che ha attraversato secoli e millenni e che è giunta sino a noi, intatta, senza venire automatizzata dalla modernità.
Indice dei contenuti
La storia dell’Abruzzo passa anche dallo zafferano
L’Abruzzo è una regione ricca di storia, orgogliosa delle proprie radici che, senza alcuna fatica, riesce a mescolare e a confondere persino con l’era della trasformazione digitale che stiamo vivendo. E non sarebbe possibile raccontare la sua identità senza passare per lo zafferano.
La pianta dello zafferano vero (Crocus sativus L.), molto importante nella tradizione asiatica, pare venisse coltivata e commercializzata nell’aquilano già nel XIII secolo, al tempo della fondazione della città. La zona coinvolta era quella che ancora oggi rappresenta la “casa” di questa spezia, l’Altopiano di Navelli, a circa 700 metri sul livello del mare; da lì, poi, l’espansione verso altri territori della regione e verso l’esportazione. Milano, Venezia e poi Marsiglia, Francoforte, Augusta, Vienna, Norimberga: tutti desideravano quella spezia dalle proprietà benefiche e dal sapore paradisiaco, tanto che Roberto D’Angiò, nel 1317, ne abolì la tassazione, proprio per favorirne il commercio. Ma da dove era arrivato questo oro naturale?
Pare che le sue origini affondino nell’isola di Creta, da dove si è successivamente diffuso nell’Oriente, e che il suo approdo in Abruzzo sia stato quasi casuale: la leggenda vuole che, nel XIV secolo, un monaco appassionato di agricoltura abbia partecipato a Toledo al tribunale della Santa Inquisizione, “rubando” alcuni bulbi di zafferano e portandoli fino a Navelli che, per nostra fortuna, si rivelò luogo ideale per la loro coltivazione.
La tradizione agricola dello zafferano in Abruzzo ha vissuto alti e bassi nel corso del tempo, ma non è mai realmente entrata in crisi, poiché ha sempre rappresentato un valore aggiunto per la regione e per gli agricoltori che vi si dedicano con cura e abnegazione: e questo lungo percorso è culminato, nel 2005, con la decisione dell’Unione Europea di conferire allo “Zafferano dell’Aquila“ il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta.
Le caratteristiche principali della coltivazione
Non si ottiene una DOP con tanta facilità: il disciplinare Ue, infatti, ricalca le antiche tradizioni. Tutto deve continuare ad avvenire secondo le abitudini di sempre, dalla rotazione annuale della coltura al divieto assoluto di concimazioni e trattamenti chimici, finendo all’essiccazione degli stimmi su brace di roverella o di nocciolo. Tutto questo affinché le analisi chimico-fisiche – che si ripetono periodicamente – riscontrino sempre altissimi livelli di safranale e picocrocina (i costituenti principalmente responsabili dell’aroma e del sapore dello zafferano). Grazie a queste attenzioni e a questa rigorosità, lo Zafferano dell’Aquila è rimasto intatto nella sua identità, delicato al gusto e all’olfatto, aromatico, armonico, mai “aggressivo” nel sapore.
Oggi l’area di produzione della DOP è molto ampia e comprende non solo la provincia dell’Aquila, ma anche alcune aree pedemontane d’Abruzzo (come la Marsica e Val di Sangro) dove questa spezia si è rivelata ancora più preziosa, perché ha ridato vita e scopo a terreni abbandonati e marginali che, altrimenti, sarebbero rimasti incolti.